La galleria Vittorio Emanuele II è una galleria commerciale di Milano che, in forma di strada pedonale coperta, collega piazza Duomo a piazza della Scala. Per la presenza di eleganti negozi e locali, fin dalla sua inaugurazione fu sede di ritrovo della borghesia milanese tanto da essere soprannominata il “salotto di Milano”: costruita in stile neorinascimentale, è tra i più celebri esempi di architettura del ferro europea e rappresenta l’archetipo della galleria commerciale dell’Ottocento. Chiamata semplicemente “la Galleria” dai milanesi, viene spesso considerata come uno dei primi esempi di centro commerciale al mondo.
L’idea di una via che collegasse piazza Duomo e piazza della Scala avvenne in conseguenza di uno dei tanti dibattiti che da tempo animavano la città, promosso nel 1839 da Carlo Cattaneo, circa il rifacimento della zona antistante al duomo di Milano, allora più piccola e irregolare e definita da molti non degna della cattedrale della città. La viabilità della zona era inoltre tortuosa e intricata, basata com’era su strette vie di origine medievale e diveniva sempre meno gestibile col crescere del traffico cittadino. L’idea di dedicare questa nuova via al re Vittorio Emanuele II venne da un lato come conseguenza dell’entusiasmo per un’indipendenza ritrovata dall’Austria, ma dall’altro lato la giunta comunale sperava in questo modo di ottenere più facilmente i permessi per l’espropriazione dei caseggiati necessari all’opera, allora ottenibili tramite decreto reale. Le iniziali linee guida comunali per il progetto non prevedevano comunque un passaggio coperto, bensì una semplice strada porticata. Nel biennio ’59-’60 furono firmati i tre decreti regi che la giunta comunale aspettava: uno per l’esproprio dei palazzi da demolire, uno per la demolizione del coperto dei Figini e del Rebecchino, caseggiati che occupavano allora l’attuale piazza Duomo e che dovevano essere abbattuti per dare alla piazza un aspetto più nobile, e un ultimo decreto per autorizzare una lotteria finalizzata a raccogliere i fondi necessari alla costruzione della nuova via.
Ottenuti i permessi per le espropriazioni, il 3 aprile 1860 il Comune di Milano bandì il concorso di realizzazione per la nuova via, i cui progetti sarebbero stati valutati da una commissione appositamente stabilita: nonostante le polemiche per la scarsa pubblicità al concorso indetto dal Comune, al primo bando furono presentati un numero elevatissimo di progetti. Tra tutti, 176 furono selezionati dalla commissione ed esposti alla Pinacoteca di Brera: la commissione non decretò alcun vincitore al concorso, ma riformulò delle indicazioni più precise circa le forme del progetto, arrivando alla prima idea di un passaggio coperto e bandendo un secondo concorso nel febbraio 1861. Al secondo progetto giunsero alla fase di valutazione 18 progetti e anche in questo caso il concorso non vide un vincitore. Vennero tuttavia date quattro indennità ai progetti ritenuti più meritevoli: gli architetti Davide Pirovano e Paolo Urbani vennero menzionati rispettivamente per l’uso di un’architettura ispirata al Palladio e per l’architettura eclettica che fondeva forme lombarde e venete, ritenute però entrambe inadatte a contornare il duomo. Più graditi, pur senza risultare vincitori, furono i progetti di Gaetano Martignoni, in cui proponeva una galleria a croce greca per collegare le due piazze e infine Giuseppe Mengoni, che proponeva in un primo progetto una via ispirata ai palazzi comunali del XIV secolo.
Fu così bandito nel 1863 il terzo e ultimo concorso in cui furono valutati solo otto progetti, tre su invito della commissione e cinque presentati spontaneamente, in cui fu decretato vincitore Giuseppe Mengoni, a condizione che fosse disponibile alla revisione di alcune parti del progetto: il Mengoni aveva inizialmente previsto una galleria unica, che verrà poi trasformata nell’effettivo progetto di una galleria a croce, assieme a una serie di piccoli dettagli stilistici che portarono alle forme definitive. Il progetto prevedeva inoltre l’erezione di un palazzo porticato frontale a piazza Duomo e una loggia Reale di fronte all’ingresso della galleria comunicante con la manica lunga del Palazzo Reale: progetti che non vennero mai realizzati. Il palazzo di fronte al duomo avrebbe dovuto prendere il nome di palazzo dell’Indipendenza, in continuità con il motivo risorgimentale della Galleria: al 1876 il progetto di costruzione non era ancora stato abbandonato, tanto che le fondamenta del palazzo erano già gettate, e non sarebbe stato accantonato assieme a quello della loggia del palazzo Reale fino alla morte del Mengoni.
La Galleria fu tra i monumenti simbolo di Milano a essere maggiormente colpiti dalle incursioni alleate: i bombardamenti avvenuti nel 15 e 16 agosto 1943 distrussero ovviamente la copertura in vetro e parte della copertura metallica, andando quindi a danneggiare le decorazioni interne. I progetti per la ricostruzione non cominciarono prima del 1948 e in relativo ritardo rispetto ad altri simboli di Milano, come ad esempio il Teatro alla Scala, già riedificato due anni prima: ciò fu dovuto in parte ai numerosi dibattiti circa lo stile da tenersi per il restauro della Galleria. Benché fossero state fatte molte proposte che avrebbero modificato i materiali di costruzione, come il rifacimento in vetrocemento della copertura e l’utilizzo di pietra di Vicenza al posto degli stucchi colorati originari, il progetto finale approvato dalla Soprintendenza fu quello più fedele alla struttura originale della galleria, che non fu quindi modificata sostanzialmente. Il restauro della Galleria fu terminato nel 1955; ai lavori seguì una vera e propria seconda inaugurazione il 7 dicembre, festa del santo patrono cittadino, in concomitanza del giorno della prima della Scala. Altri consistenti lavori di restauro furono in seguito eseguiti nel 1967 in corrispondenza del centenario dell’inaugurazione: obiettivo dei lavori furono il pavimento e i suoi mosaici, rattoppati in maniera veloce e poco curata dopo i bombardamenti alleati.
Da marzo 2014 ad aprile 2015 la Galleria è stata soggetta al più profondo restauro dalla seconda guerra mondiale, in vista dell’Expo 2015. Il restauro, preceduto da delle profonde analisi precedenti al cantiere in cui si è indagato sui materiali e sulla loro successione storica, ha consentito di riportare gli intonaci della Galleria ai colori originari. Sono seguiti interventi di restauro e pulitura delle superfici in pietra e cemento decorativo. Il restauro ha visto impegnato personale per un totale di 35000 ore di lavoro su 14000 metri quadrati di superfici coinvolte. Per tutelare le attività commerciali e per esigenze di tempo limitato i restauri sono stati portati avanti senza l’uso di impalcature fisse, bensì con un portale semovente ispirato all’impalcatura usata dal Brunelleschi nella costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore.
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